Caro apicoltore curioso,
Grazie per le osservazioni e per le dotte citazioni che, purtroppo, non rispondono però all’obiezione principale che ho sollevato contro la rigida (e, mi si permetta, imprudente) posizione del SSA e GL OAI che riporti. È un’obiezione metodologica —che dunque va al cuore dell’argomento, invalidandolo, ed è pertanto ineludibile. Come non puoi applicare pari-pari a dei bambini le conclusioni di uno studio medico effettuato su dei sessantenni, non puoi neppure applicare a una situazione specifica—il momento dell’invasione della vespa— dei risultati ottenuti per una situazione diversa: la ricerca citata nello studio di Monceau e Thiery fa parte appunto (come dice il titolo stesso dell’articolo di cui riporti un paragrafo) di un lavoro su 8 anni, nei quali la popolazione di vespe era già stabilita; non si trattava del primo nido, ma di una popolazione già estremamente densa, come mostra un’immagine tratta dall’articolo stesso: in 9 km quadrati erano presenti nidi in un numero regolarmente crescente, da 60 a 110 tra il 2010 e il 2014, corrispondenti a una densità di 7-9 nidi al km quadrato. Se leggi attentamente l’intero articolo e non solo il passaggio che hai riportato, vedrai in primo luogo che la ricerca è stata effettuata in condizioni ben diverse dalle nostre: in una zona urbana, vicino a un allevamento di ostriche e a un porto dove vengono smistate —in pratica, una fabbrica di cibo per vespe. In secondo luogo, il trappolaggio è stato effettuato un solo anno (l’ultimo della serie studiata, per cui non sappiamo cosa sia successo dopo), e solo in quello specifico territorio, non in quelli confinanti: eliminando 844 giovani regine (mediamente 10 da ciascun nido identificato), il trappolaggio ha creato spazio di nidificazione per regine immigrate dalle regioni limitrofe. Cosa sarebbe successo se (come è il caso da noi, per il momento) nelle regioni vicine non ci fossero state altre regine pronte a prendere il posto di quelle eliminate? Difficile trarre conclusioni che valgano per noi da un esperimento come questo.
Qual’è la differenza tra una popolazione così densa e una popolazione costituita da un solo nido? Le regine nuove che sopravvivono all’inverno (mediamente una trentina sulle 2-300 che nascono) sono soggette a una pressione intensissima per trovare un territorio in uno spazio già interamente occupato, ed è dunque ovvio che dovranno lottare fra loro per conquistare i siti di nidificazione. Dove, al contrario, c’è un solo nido con un intero cantone a disposizione, le regine sono molto meno soggette a questa pressione. Ricordiamo che usurpare un nido (è questa la forma che prende la competizione) significa lottare alla morte con la regina che l’ha costruito (o l’ha usurpato in precedenza). Su due vespe, una sola sopravvive. Perché mai dovrebbero correre questo rischio quando possono farne a meno semplicemente allontanandosi qualche chilometro? (le V. velutine sono delle ottime volatrici: vedi [1]). In effetti in letteratura si trovano indicazioni (seppure relative ad altre vespe [2]) che la competizione decresce al diminuire dell’intensità di insediamento (vedi [3] e [4]). Ora: l’argomento della scarsa efficacia del trappolaggio si appoggia essenzialmente sull’interferenza nella lotta fra regine (lo si dice due volte nell’ultimo numero dell’Ape): ma se non c’è ragione per la quale le regine debbano lottare, l’intero argomento cade rovinosamente.
Quanto al secondo articolo a cui ti riferisci, purtroppo non hai letto attentamente la citazione che riporti: delle vittime innocenti del trappolaggio, due terzi sono riferite al periodo estivo e autunnale, non quello primaverile. Occorre poi vedere cosa viene catturato: uno studio altrettanto recente osserva quanto segue (scusa se mi permetto di tradurre in italiano, ma vorrei che vorrei che tutti gli apicoltori capissero):
"Tuttavia, come precedentemente suggerito [gli autori si riferiscono a un altro testo di Monceau e Thiery, la cui posizione è dunque meno monolitica di quanto la tua citazione farebbe credere], il numero approssimativo di insetti non bersaglio non è sufficiente per riconoscere gli effetti negativi sulla dinamica della popolazione. Per esempio, potrebbe essere importante capire, tra i gruppi di insetti non bersaglio maggiormente catturati (ditteri e formicidi) o tra un gruppo potenzialmente vulnerabile (Lepidotteri), quali specie sono state catturate, il loro stato di conservazione e la proporzione di insetti catturati rispetto alla dimensione della popolazione. Un esempio che evidenzia questa necessità è il fatto che molti Ditteri e Formicidi che sono stati catturati nei due siti di studio sono specie esotiche, come la drosofila dalle ali maculate (Drosophila suzukii) e la formica argentina (Linepithema humile). In questo caso, la cattura accidentale di specie esotiche non è un risultato negativo per la conservazione della biodiversità. Questo può rappresentare un aspetto complementare che dovrebbe essere preso in considerazione quando pianificare futuri esperimenti sulle prestazioni delle trappole” [5].
Certo, trappole non selettive usate in momenti e in condizioni non appropriati possono essere devastanti per la biodiversità. Per questo il suggerimento non è di trappolare alla cieca e con mezzi rudimentali e non selettivi, ma di usare le trappole selettive messe a punto in Francia, citate nel mio articolo. Se ti fossi preso la briga di seguire il link che avevo indicato (
www.jabeprode.fr/), avresti visto che a differenza delle trappole ad annegamento che sno usate in tutti gli esperimenti che hanno portato a molti insetti catturati impropriamente dalle trappole, questa è una trappola a secco, dalla quale dunque gli insetti più piccoli della velutina possono uscire mentre quelli più grandi, come i nostri calabroni, non possono nemmeno entrare. Prima di parlare di stragi degli innocenti, bisognerebbe dunque testare questa trappola —cosa che, sospetto, non avete fatto.
Come osservi giustamente, la questione non trova il consenso dei ricercatori. Questa osservazione, però, mal si concilia con la posizione dogmatica e chiusa del SSA. Se la scienza è aperta a diverse conclusioni, perché incaponirsi su una sola, peraltro non convalidata da nessun dato relativo a zone di invasione recente? In queste condizioni, è meglio affidarsi al principio di precauzione, e fare un tentativo di ridurre il danno, finché i benefici (in termini di riduzione di nidi di vespe) possono ancora essere maggiori del costo (in termini di biodiversità).
Se c’è una cosa su cui invece il parere degli esperti è pressoché unanime è la necessità di sorvegliare strettamente l’espansione della vespa, in modo da poter intervenire al più presto. Certo, osservare gli apiari nel raggio di una trentina di km da Ludiano è indispensabile. Ma lì la vespa si vedrà solo a luglio, quando qualcuna delle nuove regine sarà già migrata in altre postazioni e avrà costruito il nido secondario con centinaia di vespe affamate e bene organizzate. Per poter seguire prima i suoi movimenti, sono indispensabili delle trappole, e la sorveglianza attiva del territorio da parte non solo degli apicoltori ma anche dei cittadini. E qui è completamente incomprensibile il rifiuto di condurre un monitoraggio attivo. L’articoletto sull’Ape, nel quale si dice che il monitoraggio sarà ripetuto “se necessario” nel 2021, lascia intendere un fraintendimento del senso di un monitoraggio: è il monitoraggio che stabilisce se e dove sia necessario intervenire, mentre se si attende che sia l’evidenza della presenza della vespa a suggerire a posteriori di monitorare per vedere dov’è finita si sarà già irrimediabilmente in ritardo.
NOTE:
[1] D. Sauvard ,V. Imbault e É. Darrouzet, Flight capacities of yellow-legged hornet (Vespa velutina nigrithorax, Hymenoptera: Vespidae) workers from an invasive population in Europe, PLoS ONE 13(6): e0198597,
doi.org/10.1371/journal.pone.0198597
[2] così come è relativo ad altre specie di vespe il riferimento alla Nuova Zelanda dell’articolo che hai citato citato
[3] G. J. Gambos, Intraspecific Defense: Advantage of Social Cooperation Among Paper Wasp Foundresses, Science, Mar. 31, 1978, New Series, Vol. 199, No. 4336, pp. 1463-1465.
[4] J. F. MacDonald e R. W. Matthews, Nesting Biology of the Eastern Yellowjacket, Vespula maculifrons (Hymenoptera: Vespidae), Journal of the Kansas Entomological Society, 54:3, Jul., 1981, pp. 433-457
[5] S. Lioy e altri, Effectiveness and Selectiveness of Traps and Baits for Catching the Invasive Hornet Vespa velutina, Insects 2020, 11, 706; doi:10.3390/insects11100706; p. 706